C’è Andrea: un ragazzo col pallone in mano.
C’è una bellissima foto di Luigi Ghirri che ritrae un piccolo campo da basket: le pareti di cemento grigio, una linea di mattoni arancioni in alto, due sottili pali azzurri e un pannello bianco avorio coi contorni neri. Come sempre nelle foto di Ghirri le geometrie sono malinconie; e le malinconie sono attraversate da fantasmi, da diapositive.
Andrea: un ragazzo che giocava e non gioca più, che danzava e non danza più, che ha cantato, amato, corso e spezzato. Un jukebox in pantaloni da basket; una nuvola di motivetti, ogni canzone la pagina di una Smemoranda.
Andrea tira a canestro, a volte sbaglia a volte no.
“Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”: nel campo da basket Andrea sarà circondato da tutti i suoi sé stessi lasciati per la strada; giocherà per loro, danzerà per loro, canterà per loro. Lo sguardo sempre rivolto indietro, verso il furore dell’adolescenza; il busto saldamente orientato in avanti, in una corsa che non si ferma, fin sotto il canestro. Immagino che il balzo per mettere a segno l’ultimo punto duri un’eternità di secondi, come il salto con gli sci dell’intagliatore in quel vecchio film di Herzog; c’è un tempo tutto a nostra disposizione prima che i piedi di Andrea tocchino terra, prima che il pallone entri a canestro.
Il tempo per riallacciarci a tutti i ricordi perduti, ai desideri lasciati morire.