“Ciao”… ripetuto e rinforzato dal delicato gesto della mano che fende l’aria; “ciao”… un saluto che sa di commiato, un arrivederci e un benvenuto che si fondono e si rincorrono come i giorni che compongono la vita; “ciao”… un invito a non perdere il senso dell’incontro, unico antidoto contro la solitudine dell’altro e dunque di se stessi.
Finisce così Urania d’Agosto, dal poetico testo di Lucia Calamaro, acclamato premio Ubu 2012, con adattamento e regia di Davide Iodice e sulla scena le bravissime Maria Grazia Sughi e Michela Atzemi.
Un canto psichico
“Questo testo è un canto psichico, rappresenta lo sprofondamento esistenziale di Urania, una signora anziana e stralunata che galleggia nel suo cosmo personale, nell’interiorità negletta di una vecchiaia irretita dal tedio dell’esistenza” (dalle note di regia di D. Iodice).
Le parole e i gesti di Urania scorrono come in un lungo flusso di coscienza, in cui si susseguono libere associazioni e delusioni, rimasugli di passato e frammenti di ricordi in ordine sparso. Veniamo introdotti così nel tempo senza tempo che scandisce i giorni della vecchiaia, laddove reale e immaginario si confondono e l’atto creativo immaginifico, unica via di fuga che conduce l’essere umano in un altrove, si scontra puntualmente con la caduta nel presente, asettico e apatico, vuoto cosmico che riproduce e rispecchia un vuoto d’animo, un vuoto d’amore.
Volte celesti, spazi terrestri e assenze d’animo
Quello di cui “parla” Davide Iodice è uno spazio fisico e metafisico, è un non luogo in cui pareti e ricordi si fondono e si confondono. Lo spazio scenico, dal colore azzurro urano, riprende la metafora cosmologica che fa da fil rouge all’intero spettacolo, e regala allo spettatore un’atmosfera al confine tra il sogno e l’alienazione, una dimensione non condivisibile ma in cui tutto è possibile, anche tornare indietro nel tempo e riprendersi tutte quelle ore che sembrano buchi neri, tutti i fiori dimenticati, gli abbracci dati, le frasi ripetute, tutti quei ricordi che costituiscono l’identità: “tutti questi ricordi sono Io”.
Attraverso quest’atto, che si potrebbe definire quasi “psicomagico”, lo spazio interno finisce con l’abitare lo spazio esterno, prendono così vita pianeti, stelle, satelliti, costellazioni e in questo universo siderale Urania galleggia alla ricerca di un senso, alla ricerca di sé.
Lo spettacolo è un lavoro sulla fragilità, sulla prossimità e sugli effetti che producono su di noi le altrui vibrazioni esistenziali, le altrui presenze e assenze. Nel mondo di Urania le persone si sciolgono in lacrime prima di svanire, diventano pozzanghere di vite vissute e di loro non resta che un’eco lontana. Urania raccoglie questi amabili resti in ovetti di plastica, coltivando la tacita speranza di poterli un giorno ricomporre, riabbracciare, di vederli un giorno ritornare, e si scontra con l’idea autocolpevolizzante e dissacrante, di essere stata lei stessa causa della loro sparizione: “ho il potere di trasformare la gente in acqua”… confessa alla scimmia di peluche, sua unica compagnia.
Una narrativa dell’incontro
La solitudine di Urania rimanda ad una forma di “abitudine all’assenza”, l’abitudine al non sentire, al non essere in contatto, al non esserci, che rende distaccati e toglie sensibilità d’animo e fisica ad ogni singola parte del nostro organismo, fino ad arrivare al punto in cui nemmeno l’epidermide riconosce l’altro, nemmeno quando l’altro è sangue del proprio sangue.
Per contrappasso lo spettacolo è un invito all’incontro, a non dimenticare il desiderio di compagnia quale elemento indispensabile per la sopravvivenza del singolo e dunque dell’umanità tutta. “L’universo è l’indicazione di un altrove migliore rispetto a quello che abbiamo costruito… anche il desiderio di essere trascinati via da un astronauta, è desiderio di contatto con l’altro” (note di regia D. Iodice)
E quasi in un processo catartico, al confine tra possibile e impossibile, Urania vola via e diventa lei stessa astronauta, leggera e sorridente saluta ad uno ad uno gli spettatori dai pianeti di immagini e parole che sta sorvolando, e finalmente le ritornano alla mente tutte le frasi del passato, un tempo da cui non è mai stata così lontana , ma che non è mai stato così suo come ora.
Visto il 07/02/2020
al teatro Sala Assoli di Napoli (NA)
