Scroscia la pioggia, fuori. Poi un rumore secco, potente: si direbbe un tuono. Nuvole che immaginiamo ergersi oscure, adirate, lasciano cadere il loro umido sguardo, frantumato in rivoli insistenti, anche sul palcoscenico. Un temporale sullo sfondo e in scena un uomo in fuga. Chi è? Curiosamente, neppure egli stesso pare saper rispondere. Lo aiuteranno in questo gli agenti in cui si è imbattuto, correndo furiosamente nel bosco, ma soprattutto il loro superiore, un bizzarro commissario.
“Una pura formalità”, nella versione di Glauco Mauri, è uno spettacolo attraversato da una sottile vena onirica. I dialoghi restano, così come per la versione originale del testo, proposta in forma cinematografica da Giuseppe Tornatore, colonna portante della rappresentazione, ma paiono colorarsi di sfumature ancor più sottili, tenui, quasi eteree. Non soltanto parole, ma suoni.
C’è un che di musicale nel continuo duetto tra l’uomo perduto e il commissario (magistralmente interpretati da Roberto Sturno e dallo stesso Glauco Mauri). Note basse, come strappate al silenzio, per chi ha dimenticato se stesso; rotonde e piene per chi, pienamente padrone della situazione, è fermamente intenzionato a vederci chiaro. Scopriremo infatti che, proprio questa notte, è stato commesso, nel bosco, un misterioso omicidio.
Ma davvero ci troviamo in un commissariato? E perché allora all’indiziato non è concessa una telefonata? La linea è interrotta, a causa del temporale. Già, forse. Ma per quale ragione alla parete è appeso un orologio senza lancette? Il commissario, a questo, non risponde: forse anche il tempo stesso scolora in un luogo in cui non hanno cittadinanza i ricordi?
La memoria però, una domanda alla volta, non senza fatica e sofferenza, prende a riaffiorare. Alla ricerca delle proprie recenti azioni, l’uomo ritrova dubbi, passioni, speranze, paure. E così, in un crescendo di sorprendenti colpi di scena, ci ritroviamo a chiederci se il percorso di verità che un uomo intelligente, eccentrico e impulsivo si è trovato, suo malgrado, costretto a intraprendere potrà, ancora, discolparlo e portarlo lontano. Fuori da quella anonima stanza in cui si trova a dibattersi tra le proprie contraddizioni, verso la riaffermazione piena di una sopita integrità morale, che sappia regalargli il coraggio di afferrare con forza la sua coscienza.
Visto il 18/11/2014
al teatro Ivo Chiesa di Genova (GE)
