Pier Luigi Pizzi compie 90 anni, e il Teatro La Fenice di Venezia – che tante sue creazioni ha ospitato nel tempo - lo festeggia riportando in scena il suo Rinaldo händeliano, apparso per la prima volta a Reggio Emilia nel 1985 ed approdato a Venezia nel 1989.

Azzeccato omaggio: negli Anni Ottanta il maestro milanese, veneziano d'adozione, riconsiderò il modo di rappresentare l'opera barocca trasformandola in una macchina vitalissima, in un processo iniziato nel 1978 con L'Orlando furioso di Vivaldi, e proseguito con una serie di titoli curati in ogni dettaglio: Les Indes galantes ed Hyppolite et Aricie di Rameau, la Johannes Passion di Bach – per la quale trasformò La Fenice in un'immensa cattedrale – e poi La clemenza di Tito di Mozart, per arrivare infine al Rinaldo di Händel. Una tendenza che, in certa misura, si trasferirà in parte nel 'suo' Rossini serio, da Tancredi a Semiramide, dal Mosé in Egitto al Maometto II.

La genialità al servizio della musica
Rinaldo è il primo cimento operistico di Händel in terra britannica – oltre che, nel 1711, il primo melodramma all'italiana pensato appositamente per Oltre Manica – pur riprendendo e modificando vario materiale di composizioni precedenti. Ma ciò non esclude che, musicalmente parlando, ne risulti uno straordinario capolavoro, che tra l'altro fissa moduli destinati a lunga fortuna. Pizzi, forte delle esperienze precedenti, nel metterlo in scena recuperava tutta la vitalità del lessico visivo barocco, amante del meraviglioso, dell'iperbolico, della bizzarria; ma non dimenticava di esaltarne il fluire musicale, sostenuto senza cali di tensione dallo scorrere delle immagini.
Pizzi ne firma tutto: regia, scene, costumi, luci; e senza archeologismi di maniera crea un'opera visionaria, raffinata, moderna nello spirito, restituendo oggi quel senso di continuo stupore che si voleva indurre nello spettatore dell'epoca. Senza ricorrere a nessun espediente tecnologico moderno, si badi; anzi, recuperando talune antiche prassi sceniche.

Servi di scena al rango di mimi, giganti addobbati di meraviglie
Una ventina di 'servi di scena' tutti vestiti di nero sono elevati al rango di mimi: fanno roteare senza sosta i personaggi pressoché immobili su alti piedistalli, innalzati su superbe cavalcature, oppure adagiati su imbarcazioni fiabesche. Ci appaiono quali giganti vestiti di costumi e copricapo strabilianti; dietro hanno amplissimi mantelli che svolazzano nell'aria mossi dai mimi, come immense vele sollevate da zefiri irrequieti; ed il movimento delle onde marine viene evocato solo con l'antichissimo artificio della tela mossa incessantemente da fuori quinte. Il resto lo fa l'accorto, bellissimo variare delle luci.
E' uno spettacolo dai tratti mitici, ricostruito insieme al Teatro dell'Opera fiorentino dove è andato in scena un anno fa, che a distanza di tanti anni mantiene intatta tutta la sua bellezza ed originalità. Sempre affinato nelle luci e nei costumi, oltre che sempre curato da Pizzi in prima persona ad ogni ripresa, senza affidarsi ad assistenti. Ma, almeno in questo caso, con l'aiuto di Massimo Gasparon, strettissimo suo collaboratore.

Numeri musicali a non finire
La componente strumentale della partitura, particolarmente ricca e variata, con numerosi momenti concertanti – il Divino Sassone intendeva conquistare da subito i musicofili londinesi - è una meraviglia di colori e di timbri: la sapiente concertazione e la scattante direzione di Federico Maria Sardelli ne tengono debito conto, e sanno conferirvi massimo risalto, ottenendo un trionfo di fantastiche cromie nell'ambito di una fantasiosa libertà teatrale.

L'Orchestra della Fenice, poi, pur con qualche limite – archi e legni adeguati, le trombe barocche no – ha retto nel complesso bene. Nel basso continuo, Giulia Nuti ha stupito per i vorticosi cembalismi di «Vo' far guerre». Il Rinaldo di Teresa Iervolino rammenta la Horne dei tempi d'oro: timbro seducente, emissione fluente, ottimo controllo dei fiati, legati sopraffini, colorature perfette. Con lei «Venti, turbini», «Cor ingrato» e «Cara sposa» risultano piccole meraviglie. Francesca Aspromonte mette in campo per la sua Almirena accattivante varietà di colori, ed un sensibile fraseggio; appare estremamente espressiva in «Augelletti che cantate» e in «Lascia ch'io pianga», e passa così in secondo piano la non esaltante incisività della voce.
Inattendibile l'Armida di Maria Laura Iacobellis, che non riesce a conferire il giusto risalto alla vocalità furente della maga pagana: «Vo' far guerre» è più isteria che irruenza e passionalità. Il Goffredo di Leonardo Cortellazzi è solido, nobile, impetuoso; l'Argante delineato da Tommaso Barea sa mostrarsi vivo e tagliente; il Mago cristiano è ben reso dal basso William Corrò; Marilena Ruta e Valentina Corò danno anima alle Donne ed alle Sirene.
Visto il 04/09/2021
al teatro La Fenice di Venezia (VE)