
Il sogno e la sua antitesi, la fine della festa e di un’intera epoca, la disperazione di quanti avevano riposto le proprie speranze in una possibilità di cambiamento o di puro vaneggiamento, sensazioni che Roberto Latini
porta sulla scena e in ogni spettatore con il suo Noosfera Titanic.
Lo spettacolo si presenta come naturale seguito di Lucignolo, e il Titanic, come il carro diretto al Paese dei Balocchi, è il mezzo-simbolo scelto da Latini per la sua deriva collettiva.
Sulla scena una sedia e un cumulo di sale , al centro un uomo e la sua disperazione, ai suoi piedi dimenticato c’è un vecchio telefono che servirà esclusivamente da cassa di risonanza per le sue grida compresse, per l’eco del suo “rompete le righe” tanto crescente quanto destinato al fallimento. Seduto sulle rovine di una nave che affonda, quest’uomo ci mostra come in uno specchio, i suoi sentimenti umani di angoscia e rabbia, amplificati e a tratti derisi da un’ inquietante figura che si affaccia ogni tanto sul fondo della scena.
“Non è successo niente” continua a ripetere tradito da un pianto ininterrotto e intanto intorno tutto crolla, le onde del mare sono sabbia che sommerge le sue speranze, è un’acqua che proviene dal basso, dalla terra da cui tutto nasce e muore. Lo spettatore vorrebbe tendere una mano a quell’uomo, condividere i suoi tentativi di salvezza, ma un velo tanto sottile quanto reale impedisce un contatto diretto, un velo come un confine necessario ma non sufficiente a nascondere una dura realtà: la fine a cui è andata (o va) incontro la nostra civiltà.
Le parole della prima parte lasciano lentamente spazio alla pura gestualità, l’uomo come un animale in gabbia attraversa il palco e si scaglia contro quella stessa sabbia che ha sommerso i suoi desideri, con violenza e tenacia, un ultimo sguardo trasfigurato, rivolto allo spettatore, sembra infine creare una breccia nella quarta parete e restituire speranze e interrogativi da salvare.
Il teatro salverà il mondo?
Visto il 15/10/2011
al teatro Lauro Rossi di Macerata (MC)
