#Lavorover40 è liberamente tratto da La domanda d'impiego, di Michel Vinaver, testo pubblicato nel 1973. È la storia di Fage, un imprenditore che a 43 anni si ritrova disoccupato, con una famiglia da mantenere, e della sua enorme difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro, tagliato fuori da logiche aziendali che lo considerano ormai vecchio, inadeguato.
Nella rilettura di Bruno Tràmice permane l'originale collocazione geografica e temporale (la Francia degli anni '70), che si riflette nella scenografia, in cui sono presenti elementi d'arredo dal design caratteristico di quegli anni, e nei costumi di Alessandra Gaudioso, perfettamente studiati e adattati all'età e alla posizione sociale dei protagonisti. Nonostante quest'atmosfera rétro, si percepisce immediatamente l'impronta di attualità che pervade l'intero lavoro. La disoccupazione, il precariato, i licenziamenti, sono il pane quotidiano di un'Italia che fatica a rialzarsi e che offre un ventaglio sempre più limitato di opportunità per i giovani e per chi, come Fage, dopo anni di onorato servizio, si ritrova con un pugno di mosche in mano.
La storia sembra seguire un doppio binario: la ricerca di lavoro, che è anche ricerca di appartenenza e accettazione, e il dramma di essere respinto lavorativamente ed essere escluso sia dal nucleo familiare, nella progressiva perdita del ruolo di padre di famiglia, di pilastro economico e affettivo, sia da una società che non gli riconosce il ruolo che gli spetta e lo assimila all'assortita massa in fila davanti allo sportello per il sussidio di disoccupazione. Nonostante i tentativi della moglie Louise di mantenere l'equilibrio in casa e di risollevare il morale del consorte con piccole dosi d'ottimismo, i problemi e le sconfitte serrano l'uomo in una morsa di impotenza e depressione che lo condurranno alla resa definitiva. I quattro interpreti (Ettore Nigro, Bruno Tràmice, Lorena Leone, Clara Bocchino) si muovono quasi danzando, coordinati, precisi, all'interno di un continuum narrativo in cui le luci, come cineprese, inquadrano di volta in volta una nuova scena, scandendo il susseguirsi temporale e atemporale dei fatti. L'intervista, che inizia come colloquio formale ai fini dell'assunzione, diventa progressivamente l'occhio attraverso il quale scrutare se stesso, la spinta destrutturante dell'io del protagonista. Di questa visione resta l'amara consapevolezza che la storia di Fage non è diversa da quella di tante altre vittime del mercato lavorativo, ma anche lo spunto per una riflessione più ampia, a tratti accennata, che investe il concetto stesso di lavoro, di fatica, di dignità umana. “Il lavoro serve per gettare soldi al vento”.
Visto il 26/11/2016
al teatro Piccolo Bellini di Napoli (NA)
