IL MALATO IMMAGINARIO OVVERO LE MOLIèRE IMAGINAIRE

Le malade imaginaire o le Molière imaginaire?

Recensione:

Le malade imaginaire o le Molière imaginaire? Chi è quell’uomo al centro della scena? Chi è quel signore che conosciamo subito dalle parole del suo servo Pulcinella? È Molière o Argante? 
La regista, Teresa Ludovico, riscrive, reinventa, riesplora i sentieri di un classico intramontabile del teatro francese del Seicento.
Dopo secoli, l’opera di Molière fa sentire ancora tutto il suo fascino e rivive sulla scena in modo del tutto nuovo, pervaso dalle suggestioni del teatro contemporaneo. 
In una casa del sud dalle tinte chiaroscure, è la maschera Pulcinella a dare inizio allo spettacolo e ad aprire il sipario sulla casa di Argante, meglio conosciuto come “il malato immaginario”.
In bilico tra teatro e vita, ci ritroviamo a guardare Jean-Baptiste Poquelin, o meglio Molière, che recita “Il malato immaginario”, forse proprio nella sua ultima rappresentazione.
Chi dei due vive di immaginazione? Il malato immaginario o il suo creatore? O sono entrambi incastrati in un mondo che non esiste?
Pulcinella, interpretato dalla particolare fisicità di Marco Manchisi, espressione di quell’anima popolare e beffarda che pervade tutta l’opera di Molière, diventa a tutti gli effetti filo rosso tra i vari personaggi.
Ora serva, ora fratello di Argante, è lui che “fa la trama” e tinge di colore la scena grigia con la forte carica farsesca della lingua napoletana, metafora della cultura e della tradizione del sud.
Si apre il sipario sulla casa del malato immaginario. Brontolone, petulante e capriccioso, Argante, seduto in cima ad una piramide, domina la scena e crede di dominare la sua casa.
La scena si consuma su due piani che di volta in volta mostrano o sottraggono alla visuale dello spettatore i vari personaggi che compaiono e scompaiono furtivamente, attraverso un sistema di botole.
In un girotondo infinito si avvicendano volti e personaggi noti e meno noti: una serva furba e ficcanaso, un fratello saggio e consigliere, una figlia angelica e una moglie perfida e arrivista, tanti e tanti medici millantatori, e poi lui, Argante. Lui che vive incollato ad una sedia, vive e non vive. Vive per essere malato? O è malato per vivere?
“La malattia come bisogno di non esistere, di addormentarsi, finché tutta la vita sia risucchiata dal quel nulla anestetico che aspira ...all’eternità. - dice infatti la regista- Solo una malattia immaginaria può proteggere dalla disperazione di vivere”.
E Argante lo sa bene e preferisce la malattia alla vita, preferisce la medicina all’amore di sua figlia, preferisce la menzogna alla realtà.
E così subisce la falsità della moglie e dei medici che lo circondano fino all’idea. La meravigliosa, luminosa, sorprendente idea del fratello saggio che gli consiglia di non cercare di imparentarsi con i medici, ma di diventare egli stesso medico.
“Basta indossare quell’abito e si è in grado di discutere su tutte le malattie…con una toga e un cappello non si deve far altro che parlare : qualsiasi chiacchiera diventa oro colato e qualsiasi sciocchezza diventa vangelo”.
Con il conferimento della “Laurea ad honorem” si conclude la commedia, in una ronda ridicola di personaggi che girano intorno  a lui, Argante o Molière che, in quell’atmosfera  giocosa tipica della comedìe ballet, muore in cima alla stessa piramide dove aveva vissuto. Muore sulla stessa sedia che era stata il suo nascondiglio per la vita.

 

 

 

Visto il 19/12/2010
al teatro Kismet Opera di Bari (BA)

Il malato immaginario ovvero Le Molière imaginaire
Prosa
Informazioni principali
Regia
Teresa Ludovico
Protagonista
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Neliana Pansitta

  Redattore

Esperienze lavorative Direttore editoriale della rivista HTrends Collaborazione freelance in qualità di redattore e correttore di bozze presso ...

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