Un testo complesso, elaborato e contorto quello scritto da Jean-Luc Lagarce, scrittore omosessuale che ha vissuto dolorosamente sulla propria pelle il ‘male di vivere’ essendo mancato di Aids nel 1995 a trentotto anni, dopo una vita sicuramente difficile e connotata dalla sofferenza del farsi accettare sia dalla famiglia, sia dalla società. Il protagonista della ‘pièce’, quasi un ‘alter ego’ del drammaturgo, consapevole dell’approssimarsi (quando Lagarce ha scritto l’opera sembra che non sapesse ancora di essere sieropositivo) dell’ora fatale, ritorna a casa dopo una lunga assenza per comunicare, riannodare, raccontare, condividere e sfogarsi dimentico forse di essersene andato per evitare quei muri di incomunicabilità che stavano crescendo. E i muri sono più alti, i giudizi non espressi o accennati sono lance che lo trafiggono, lo scarso slancio o comunque carente di madre, sorella e fratello incapaci non solo di parlare con Louis, ma forse anche tra di loro, l’ingenuità di una cognata sempliciotta e incompresa da tutti non fanno altro che aumentare la solitudine del protagonista. Un capolavoro di ambiguità, imbarazzi, battute, blocchi e ‘gaffe’ che non coagulano in un discorso compiuto e che sembrano non dire nulla anche se sottendono giudizi e condanne irrevocabili: un lavoro emblematico di tanti ‘non discorsi’ odierni in riunioni, incontri e false amicizie. Un racconto quindi dell’incapacità di raccontare e raccontarsi, simbolo dell’impossibilità di conoscere se stessi e gli altri esasperata e resa volutamente angosciante dal XX secolo. Cinque i personaggi bravissimi che agiscono in un arco temporale simbolico - che può essere un giorno o un anno - diretti magistralmente da Luca Ronconi, ma il numero è ininfluente: monadi dolenti dal linguaggio franto che è espressione dell’animo spezzato in un mondo disorganico e falsamente coagulato dalla globalizzazione, falso collante di infinite identità.
Visto il 31/03/2010
al teatro Piccolo Teatro - Teatro Grassi di Milano (MI)
