È un Falstaff crepuscolare quello di Franco Branciaroli, che nel suo rapporto con il servo, interpretato da Massimo De Francovich, ricorda più la coppia costituita da Vasilij Svetlovidov e Nikita Ivanič nel Canto del cigno di Čechov che Don Giovanni e Leporello, come il titolo lascerebbe supporre.
Il servo alter-ego di Falstaff
In Falstaff e il suo servo, nuova produzione del Centro Teatrale Bresciano firmata nella drammaturgia e nella regia da Antonio Calenda e Nicola Fano, rimane il personaggio che noi tutti conosciamo: un Falstaff gaudente, eccessivo, smodato, gran bevitore, affamato di cibo e di vita e sgargiante nell’abbigliamento, ma venato da quella sottile vena di malinconia di chi sa di essere ormai prossimo alla fine della sua parabola esistenziale.
A lui si contrappone un servitore austero, anche nel vestire, frutto di invenzione letteraria, che non è però uno dei suoi servitori storici, Bardolfo o Pistola, dato che Bardolfo è presente in scena. Il rapporto i due è paritetico, non vi è subordinazione, quasi fosse una sorta di alter-ego, con il quale confrontarsi e con cui trarre un bilancio della propria esistenza.
Su un palcoscenico vuoto il protagonista ripercorre i passaggi fondamentali della propria esistenza, attingendo ai testi che lo hanno visto protagonista, ovver Enrico IV, Enrico V e Le allegre comari di Windsor, all’interno dei quali si innestano altre pagine shakespeariane - ad esempio La Bisbetica domata - e citazioni dal libretto del Falstaff di Giuseppe Verdi. Il servo dal canto suo, oltre a calarsi di volta in volta in alcuni ruoli chiave delle avventure del padrone, in primis il re Enrico V, tende ad assumere il ruolo di regista di queste rievocazioni, pilotandone lo svolgimento, come nella scena finale in cui il padrone verrà issato sul cavallo dal quale poi cadrà rovinosamente.
Branciaroli mattatore e malinconico, De Francovich asciutto e riflessivo
Franco Branciaroli, in un ruolo a lui congeniale, alterna l’istrionismo del mattatore ad una recitazione più misurata, giocando sul sottile equilibrio tra la vitalità del personaggio e la malinconia della situazione. Momento significativo è la struggente interpretazione di “Quando ero paggio del duca di Norfolk”, che nell’opera di Verdi è un’aria allegra e spumeggiante mentre qui è la rievocazione nostalgica di una giovinezza perduta. Massimo de Francovich è perfetto nel ruolo del ruolo del servo che di Falstaff è l’opposto: lucido, asciutto, riflessivo, e, forse, anche un po’ subdolo.
Completano il cast quattro giovani attori che si calano efficacemente nei vari ruoli, ovvero Valentina Violo (Madame Page e Prostituta), Valentina D’Andrea (Madame Ford e Ostessa), Alessio Esposito (Page e Bardolfo), e Matteo Baronchelli (Ford e Francis) compagni d’avventura in questo lungo flashback che si conclude con la morte, anche se in realtà nel finale Falstaff, anziché morire, indirizza al pubblico il suo ultimo sberleffo, perché i miti non muoiono mai.
Visto il 22/10/2019
al teatro Sociale di Brescia (BS)
