Il progetto teatrale The great game: Afghanistan – commissionato dal TricyleTheatre – debutta a Londra nel 2009 e racconta in dieci episodi, scritti da dieci autori diversi, la storia dell’Afghanistan dal 1840 al 2010. Il Teatro dell’Elfo di Milano e la Fondazione ERT, in collaborazione con Napoli Teatro Festival, curano la traduzione italiana di questo affresco storico, con la sapiente regia di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni.
L’Afghanistan, terra antica tra i monti dell’Hindu Kush, tappa obbligata verso l’Oriente, dominata da popoli stranieri senza un reale controllo sulle tribù locali, appare tutti i giorni nella sezione estera delle agenzie di informazione giornalistica per attentati o fatti di cronaca nefasta, eppure pochi conoscono la complessità di un Paese disegnato dagli stessi occidentali.
Il progetto del Grande Gioco ricrea un mondo attraverso i secoli a partire dagli ultimi centocinquant’anni, dal 1842 al 2010, in due spettacoli di circa tre ore: Il grande gioco (1842-1996) e EnduringFreedom (1996-2010). Entrambi si articolano in cinque episodi scritti da autori diversi, tradotti in italiano da Lucio De Capitani: Lee Blessing, David Greig, RonHutchinson, Stephen Jeffreys, Joy Wilkinson, Richard Bean, Ben Ockrent, Simon Stephens, Colin Teevan, Naomi Wallace.
The great game: l’epopea storica
Il Grande Gioco – espressione usata prima da un generale britannico poi da Kipling per indicare il conflitto anglo-russo del XIX secolo – è intervallato da video con immagini storiche che documentano e accompagnano lo svolgimento di importanti avvenimenti.
Una solida base storica regge i primi cinque episodi, nonostante la loro diversità drammaturgica. Trombe alle porte di Jalalabad, La linea di Durand, Questo è il momento, Legna per il fuoco, Minigonne di Kabul trasformano la scena in un documentario in live action, un sogno per chi legge la storia sui libri e si domanda che cosa sia realmente accaduto oltre i fatti e le date stampate in grassetto.
Sui monti dell’Asia Centrale l’atmosfera è fredda e piena di tensione. Pochi elementi in scena arredano il palcoscenico, a seconda del periodo storico rappresentato, perché a determinare lo scenario sono immagini proiettate sui teli bianchi e giochi di luce, curati da Francesco Frongia e Nando Frigerio. Lo spettatore assiste alle trattative, ai retroscena di accordi importanti, alle riflessioni di mediatori diplomatici. Di grande impatto e riflessione è il racconto sulla linea di Durand, un dialogo tra l’emiro Abdur Rahman e sir Henry Durand per la definizione dello stato dell’Afghanistan perché i confini sono linee immaginarie che danno forma a un mondo che nella realtà non esiste.
Emerge la presenza di una cultura tribale schiacciata dalle decisioni di governatori per proteggere interessi economico-politici di un grande gioco estraneo alle dinamiche della popolazione, incarnate dall’interpretazione di HosseinTaheri.
Scene teatrali più tradizionali – soprattutto nei primi due episodi – si alternano a riproposizioni cinematografiche – Questo è il momento con atmosfere da Via col Vento –, a sequenze di serie televisive con taglio noir in Legna per il fuoco e film hollywoodiani di spy stories nell’ultima stazione di Minigonne di Kabul, in cui Claudia Coli fonde con eleganza seduzione e cinismo giornalistico.
Enduring Freedom: ideali in balia del vento
La struttura ampia e storica del Grande Gioco si scioglie in EnduringFreedom – nome della missione statunitense dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 –attraverso il racconto di una storia recente, conosciuta in parte degli spettatori che qui respirano l’aria tesa di uno scontro tra fondamentalismo morale, idealismo occidentale e desiderio di libertà. Dall’epos storico si passa alla rappresentazione teatrale contemporanea con scene più rarefatte, spazio essenzialmente bianco e i filmati documentari lasciano il posto a immagini paesaggistiche, foto e testi poetici.
I racconti sono sequenze meno coese dal punto di vista narrativo perché non si ha ancora la giusta distanza storica per analizzare le conseguenze di eventi così drammatici per la storia mondiale. Si sfuma l’aspetto storiografico per dare vita alle biografie di alcuni protagonisti: mullah, mujaheddin, rappresentanti delle ONG, soldati inglesi e giovani donne.
Il Leone di Kabul di Colin Teevan, Miele di Ben Ockert, Dalla parte degli angeli di Richard Bean, Volta stellata di Simon Stephens – lo stesso autore del nuovo spettacolo del Teatro dell’Elfo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte tratto dal romando di Mark Haddon – Come se quel freddo di Naomi Wallace mettono in scena il conflitto individuale di chi vuole esportare valori culturali, modelli culturali e sogni di libertà sia mediorientali sia occidentali. Anche la ferma convinzione di un militare retrocede dinanzi ai dubbi sull’utilità della propria missione in una terra straniera.
Visto il 01/12/2018
al teatro Arena del Sole - Sala Leo de Berardinis di Bologna (BO)
