Teatro

Laika, l'umanità strampalata e prodigiosa di Ascanio Celestini

Al Napoli Teatro Festival va in scena l'attore romano, un flusso di coscienza che attraversa il Teatro Nuovo.

Laika, l'umanità strampalata e prodigiosa di Ascanio Celestini

Ascanio Celestini apre il sipario ancora prima di salire sul palcoscenico. Fuori dal teatro, a mezz’ora dall’inizio dello show, è intento a parlare con alcuni spettatori del caso di Giuseppe Uva (l’uomo morto a Varese nel 2008 in un ospedale psichiatrico), cui fa riferimento nel suo ultimo film "Viva la sposa", che ha ispirato fortemente il testo teatrale di Laika, e da lì la conversazione facilmente scivola sui soprusi che i detenuti sono costretti a subire nelle carceri senza possibilità alcuna di denuncia. Il dialogo informale diventa quasi un prologo rispetto a quanto ascolteremo poco dopo all’interno del teatro.

Dentro una scena scarna, arredata con sei lumini Ikea con luce calda, alcune cassette di plastica per l’acqua ed un tendaggio rosso dietro il quale c’è Gianluca Casadei alla fisarmonica; compare un uomo in abiti lisi che vive in un appartamento di «35 mq calpestabili (ma poi cosa vorrà mai dire calpestabili?)» dalla cui finestra osserva il mondo, cioè il grande parcheggio di un supermercato dove vive un barbone nordafricano che chiede l’elemosina e deve ringraziare pure Dio per essere scampato alla morte in mezzo al mare. L’uomo è Gesù, ma non è certo, potrebbe essere anche un pazzo. La cosa certa invece è che è un Gesù sui generis, giocherellone, bevitore (di sambuca), cieco, con un linguaggio non sempre aulico, «umano troppo umano» e pieno di cum-prensione verso questo mondo alla rovescia, che sfrutta, deride e giudica gli ultimi, forse gli unici esseri umani a saper compiere prodigi.

Un monologo, alternato ad un dialogo con l’apostolo Pietro che ha la voce (registrata) di Alba Rohrwacher, in alcuni tratti sottolineato dalle note, ora lascive, ora incisive, della fisarmonica di Gianluca Casadei, in cui l’attore affronta come un fiume in piena e in maniera sovrapposta, obliqua, irregolare, i temi a lui cari, primo su tutti quello dello sfruttamento dei lavoratori. C’è spazio, naturalmente, anche per Dio, su cui la riflessione si spinge ai massimi sistemi ma senza inutili pesantezze, anzi con la leggerezza del grottesco e del paradosso Gesù-Celestini pone domande su cui da secoli gli uomini s’interrogano. E con la stessa leggerezza ed ironia, l’attore fa incarnare Gesù in un caleidoscopio di umanità che prende le sembianze ora di un barbone, ora di una prostituta con una precisa etica del lavoro, ora di una vecchia con la «testa impicciata», ora di uomini semplici al bar che sorseggiano una sambuca, ed a tutti loro mette in bocca i drammi, i dubbi e i dolori del nostro tempo.

Mille storie parallele che intrecciandosi narrano le periferie geografiche e dell’animo umano e in cui i personaggi inteneriscono, fanno simpatia, quasi fanno venire la voglia di rivolgere loro la parola; soprattutto sono capaci di atti eroici, di compiere prodigi. Proprio loro infatti, sgangherati, sgualciti, considerati scarti dell’industria capitalistica, corrono a salvare un pezzettino di umanità: «Ha visto signora? Noi abbiamo assistito ad un prodigio. Tre persone nel cuore della notte sono scese in strada per salvare la vita di un barbone», un prodigio laico. Uno spettacolo, basato sull’ultima opera filmica dell’attore romano, divertente, godibile, poetico, privo di moralismi, in cui Ascanio Celestini dà prova di sapere reggere il flusso di coscienza degli sbandati cui presta la voce, i quali eroicamente sopportano il peso di sapere di stare soli al mondo: «Vuoi vedere che la trinità è una balla e alla fine salterà fuori che Dio sono soltanto io?».

 

 

Ornella Esposito

  Redattore

Classe '73, mi occupo di sociale e cultura praticamente da quando sono nata. Il mio pallino sono i deboli, quelli che vivono ai margini. Testa dura pi...

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