
Giunto al suo quarto anno di attività, Città in scena / Cities on stage (il progetto sostenuto dalla Commissione Europea che vede impegnati i maggiori Teatri Stabili europei) per la stagione 2014-15 ha impegnato l’autore napoletano Davide Iodice nel workshop dal titolo Il velo / The Veil. Un lavoro di scrittura, studio e messa in scena intorno alla percezione che i giovani corsisti (tutti di nazionalità svedese) hanno avuto di Napoli, durante la loro permanenza in città. L’esito del laboratorio sarà messo in scena al Teatro San Ferdinando il 19 aprile e poi al Folkteatern di Göteborg il 29 aprile. Così descrive il suo approccio rispetto a questa esperienza Davide Iodice: “….. Ogni attore sarà affidato a una guida che per vissuto o per conoscenza riveli un aspetto specifico della città: la resistenza sociale e culturale, il disagio, la teatralità, la ritualità magico - religiosa, e così via; accompagnando il performer in un viaggio secondo quella traiettoria. Partiremo da un’immagine e da un luogo: il velo del Cristo della Cappella di San Severo, nel cuore del centro antico della città e lo assumeremo come elemento fisico e simbolico alla base della creazione. Il velo, (da cui il titolo del lavoro) rivela e nasconde, trattiene e custodisce quel corpo che sembra perennemente sul punto di risorgere...”
Va in scena al Nuovo Teatro Sanità - NTs’ – Schifosi; adattamento e regia di Rosario Sparno. Uno spettacolo tratto dall'opera omnia di David Foster Wallac. Unico protagonista sul palco, Luca Iervolino, chiamato a ricoprire tutti i ruoli che schifosamente si affastellano e si inseguono, accompagnato dalle note disturbanti di Massimo Cordovani, sotto le quali risuonano parole inconfessabili.
Giunge allo spazio di San Biagio dei Librai - Start/Interno 5 – per la regia di Giuseppe Isgrò e con Dario Muratore: Adulto. Una ricerca sulla parte maledetta della crescita: un'energia sotterranea e magmatica, devastante quanto generatrice. Lo sguardo del pubblico è affacciato alla scena come alla rete da un cantiere di uno scavo immaginario: qui sono insabbiati gli oggetti ludici, erotici, i feticci e i travestimenti di un individuo abnorme e delicatissimo, costantemente antagonista, che produce riti scabrosi in un buco dall'attività frenetica. Le parole che compongono questa contro oratoria sono tratte dalle opere finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante e Dario Bellezza, accomunate dall'essere liriche filosofiche, opere pericolose e azzardate, crolli monumentali.
Ritorna in scena, al Piccolo Bellini, con Rino Di Martino e per la regia di Antonella Morea, Mamma di Annibale Ruccello. Quattro monologhi dove mamme malefiche, figure irrimediabilmente corrotte dai mass-media, raccontano fiabe antiche. Una folla di donne attorniate da ragazzini nelle cui conversazioni si confondono messaggi personali, echi televisivi, slogan di rotocalchi; dove la pubblicità si sovrappone alle confidenze – le telenovelas alla sfera privata e gli inni liturgici alle canzonette di Sanremo. La contaminazione cui tali rituali sono stati sottoposti dall'ingresso dei media con la conseguente perdita dell'identità collettiva. La ritualità e il mondo popolare saranno il motore di tutta la messinscena dove l'ambiguo maschile/femminile esprime al meglio il carattere tragicomico dei personaggi.
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