
Roma, sabato 20 Gennaio, ore 17.30.
L'intervista con Ulderico Pesce è fissata alla libreria Esquilibri in Via Giolitti, nel cuore del quartiere Esquilino.
Un oasi accogliente nel cuore di una delle zone più multietniche della Capitale, a pochi passi dal Piccolo Jovinelli, dove fino a poche settimane fa Ulderico ha portato in scena il suo ultimo lavoro "FIATo sul collo".
E' qui, in questo piccolo spazio - recentemente riqualificato da un gruppo di mamme che l'hanno preso in gestione con l'intenzione di renderlo un polo di aggregazione culturale per adulti e bambini -, che questo pomeriggio Pesce, autore e attore lucano da anni impegnato in prima linea nel teatro civile e di narrazione, presenta "L'innaffiatore del cervello di Passannante", testo del monolgo che tornerà a rappresentare al teatro della Cometa Off dal 13 al 25 Febbraio.
Il nostro incontro è un'intervista quasi improvvisata, concordata appena poche ore prima grazie alla disponibilità di Clotilde Recchia e Fiammetta Baralla (che curano, rispettivamente, l'organizzazione e l'ufficio stampa romano di Pesce), ma soprattutto grazie alla gentilezza di Ulderico, che si è reso disponibile a dedicarmi un po' di tempo per raccontare del suo libro, del suo spettacolo e della storia di Giovanni Passannante.
Cosa ci facciamo qui oggi pomeriggio?
Oggi alla alla Libreria Esquilibri all'Esquilino - quartiere storico in cui sussiste un esperimento costante di multietnicità e di pacifica convivenza tra popoli - presentiamo questo testo, che è la storia di Giovanni Passannante. E' un monologo di teatro, che ho già messo in scena e con cui ritorno qui a Roma, al teatro della Cometa Off, dal prossimo 13 Febbraio fino al 25. E' un testo scritto per essere rappresentato. Racconta la storia di quest'uomo, di quest'anarchico: Giovanni Passannante, che nel 1878 attentò con un gesto dimostrativo al re Umberto I di Savoia, in visita a Napoli, ferendolo lievemente con un coltellino da quattro dita. Un'arma completamente inadatta ad uccidere, che si limitò infatti a graffiare leggermente il sovrano. Giovanni Passannante scontò l'attentato per il resto della sua vita, fra tormenti indicibili, vittima di un accanimento disumano al limite della brutalità medievale. Che è perdurato anche successivamente alla sua scomparsa. L'ingiustizia vissuta da quest'uomo - in vita e poi in morte - è così tremenda che l'unico desiderio che c'è, sia sotto il libro che sotto lo spettacolo, è la sua sepoltura. Giovanni Passannante non è mai stato seppellito dignitosamente: il suo cranio e il suo cervello sono tuttora esposti nel museo criminologico di Roma, dove sono conservati dal 1936. Ma un uomo che chiedeva pubblicamente l'avvento della repubblica, che rivendicava il diritto all'assistenza, agli ospedali, alle scuole, alla dignità dei lavoratori, non deve certamente essere tenuto nel museo del crimine, perchè certamente non era un criminale. Cosa successe dopo l'attentato?
Passannante venne arrestato e torturato, per costringerlo a rivelare i nomi dei complici che in realtà - come aveva dichiarato subito dopo essere stato imprigionato - non aveva. La "giustizia" si accanì anche contro i suoi familiari, facendo rinchiudere l'anziana madre e i suoi fratelli nel manicomio criminale di Aversa, dove morirono a distanza di pochi anni. Giovanni subì un processo sommario e venne condannato a morte. Il re volle però concedergli la grazia, nonostante - dopo le torture subite - il condannato avesse chiesto di essere ucciso subito. Invece venne rinchiuso in una torre - che oggi si chiama Torre Passannante - a Portoferraio, all'Isola d'Elba, in una cella delle dimensioni di 1,5 x 2 m, 4 metri sotto il livello del mare: completamente buia, piena di umidità. Incatenato ad una palla di ferro di 18 kg, guardato a vista da uno spioncino, perennemente affamato. I marinai raccontavano che spesso sentivano le sue grida strazianti fino al largo. Sopravvisse in queste condizioni per oltre dieci anni. Cosa accadde a Passannante in conseguenza alla sua reclusione?
Prima gli si rovesciarono le palpebre e divenne cieco. Poi gli venne lo scorbuto, poi la tenia, e per la fame arrivò a mangiare le sue stesse feci. E non fu questa la cosa peggiore. Durante tutti gli anni di reclusione non gli fu mai permesso di incontrare nessuno, nemmeno il prete che aveva insistito per portargli conforto. Nonostante si professasse anarchico, Giovanni era infatti cattolico e battezzato. Poi, però, l'opinione pubblica iniziò ad interessarsi alla sua storia...
A distanza di alcuni anni una giornalista, Anna Maria Mozzoni, si interessò alla vicenda e realizzò grandi pezzi sui giornali. In seguito un deputato radicale, Bertani, presentò un'interrogazione parlamentare per sottoporre Giovanni Passannante ad una perizia medica. Lo trovarono pazzo. Fu trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, dove morì nel 1910. Cosa avvenne di lui dopo il decesso?
Appena morto gli tagliarono la testa, gli segarono il cranio e prelevarono il cervello. Entrambi vennero conservati e si trovano attualmente esposti, da oltre 70 anni, nel museo criminologico di Roma. Perchè questo scempio?
Per via delle teorie di Cesare Lombroso - che all'epoca godevano di grande attenzione e credibilità -, il quale riteneva che chi aveva la fossetta mediana occipitale interna fosse biologicamente "delinquente". Lui l'aveva. Oggi sappiamo che nel Sud dell'Italia ce l'abbiamo più o meno tutti... Pure io ce l'ho! (sorride)
Diciamo che dall'Africa fino a Roma l'abbiamo praticamente tutti: è una caratteristica congenita alla nostra etnia. Non è mai stata presa nessuna iniziativa per rendere una sepoltura dignitosa ai resti umani di Passannante?
In effetti, quando fu ministro Diliberto firmò una delibera, in cui autorizzava la rimozione del cranio e del cervello e la sostituzione con un calco in gesso e resina. Però poi cambiò il governo e la questione si arenò. Come sei venuto a conoscenza della storia di Giovanni Passannante?
La storia io l'ho scoperta in maniera molto... rocambolesca (sorride). Avevo una fidanzata che abitava nelle vicinanze del Museo di Criminologia. Era sempre in ritardo. Nell'attesa che arrivasse, io non sapevo mai che fare, così passavo il tempo vagando senza meta nei dintorni di via Giulia. Prima giravo per antiquari, poi per rigattieri, poi per bar... Finchè un giorno non mi ritrovai, quasi per caso, a visitare il museo criminologico. E lessi, nella stanza dov'è lui, "Cranio e cervello di Giovanni Passannante, anarchico, lucano, che attentò alla vita del re Umberto I di Savoia. Nato a Salvia (PZ)". La mia terra, oh Gesù mio! Non ne sapevi niente?
No, non ne sapevo nulla. Andai all'Archivio di Stato e iniziai a svolgere delle ricerche. Cercai anche tramite Internet, ma all'epoca - eravamo intorno al 1999 - c'era poco o niente. Poi andai all'Archivio storico di Napoli, e poi all'Archivio storico di Potenza. Cominciai a trovare materiali e testimonianze: stralci di interrogatorio, gli articoli della Mozzoni, l'interrogazione parlamentare di Bertani. Iniziai ad interessarmi seriamente della vicenda e a ricostruirla metodicamente. Nel monologo, la voce narrante è quella di un carabiniere. Come mai questa scelta?
Gli anni in cui ho iniziato a lavorare a questo testo erano quelli immediatamente successivi all'uccisione di Carlo Giuliani al G8 di Genova. La mia storia, in un certo senso, si è sviluppata parallelamente. Nello spettacolo, a parlare, a raccontare tutto, è un carabiniere. L'idea è nata perchè il museo criminologico è gestito dall'Amministrazione Penitenziaria, e i suoi corridoi sono costantemente presidiati da poliziotti e carabinieri. Nel corso delle mie ricerche, avevo scoperto che il cervello di Giovanni è conservato sotto formalina. Periodicamente, il livello del liquido si abbassa. Quindi - più o meno ogni 6 mesi - il contenitore va aperto e rimboccato. E' un lavoro che svolge un anatomo-patologo. Però, poichè il museo è pieno di poliziotti e carabinieri, io ho voluto immaginare che fosse proprio un carabiniere a raccontare la storia di Passannante. E' dal dettaglio dell'"innaffiatore" che hai preso spunto per il titolo del tuo monologo?
Proprio da questo: dal ruolo del personaggio che, periodicamente, si dedica a riempire di formalina la teca in cui è esposto il cervello di quest'uomo. Poi, pensa solo quanti soldi spende lo stato italiano a "innaffiare" questi poveri resti... E la cosa obbrobriosa è che non si capisce cosa voglia mostrare questo accanimento, soprattutto a distanza di così tanto tempo. In concreto, quali passi hai mosso finora a sostegno della causa di Passannante?
Da due anni sto raccogliendo (sul sito www.uldericopesce.com) le firme a sostegno della petizione per la sepoltura dei resti di Passannante nel suo paese di origine e per la sostituzione dei resti originali con calchi in gesso e resina. Mi pare che siamo ormai a 2400-2500 firme. Per il 19 Febbraio - ricorrenza della data di nascita di Giovanni - abbiamo organizzato una piccola, ulteriore iniziativa. Andremo al museo criminologico a portare una corona di fiori, e successivamente ci recheremo al Ministero di Grazia e Giustizia per consegnare tutte le firme raccolte. Speriamo di arrivare almeno a 3000. Personalmente, devo molto alla grande stampa nazionale, che mi ha datto una grande mano. In particolare all'Espresso e al suo caporedattore, Alessandro De Feo (che oggi conduce insieme a Ulderico la presentazione del testo, N.d.R.), che continua a offrirmi un grande aiuto. Perchè capisce che questa questione, questa battaglia di civiltà, deve andare avanti. Tenere i resti di una persona esposti in una bacheca - in uno spazio aperto al pubblico, dove la gente paga 2 Euro per vederli - è qualcosa di agghiacciante e inaccettabile. Quali sono i tuoi progetti per i prossimi mesi?
Dal 6 al 12 Febbraio sarò a Milano, al Teatro della Cooperativa, con "FIATo sul collo" . Poi, come ti dicevo, dal 13 al 25 Febbraio porterò in scena "L'innaffiatore" al Cometa Off di Roma. Dai primi di marzo, porterò "Storie di Scorie, il pericolo nucleare italiano" al Teatro dei Filodrammatici di Milano. Hanno aperto recentemente una nuova fabbrica vicino al teatro, lo spettacolo lo faremo là dentro. Poi ci saranno due debutti in estate: anche questi due spettacoli molto forti. "Asso di Monnezza", che descrive i traffici illeciti di rifìuti in Italia - in particolare dei rifiuti industriali - e "Il triangolo degli schiavi", che racconta le condizioni di vita dei clandestini raccoglitori di pomodoro. La mia conversazione con Ulderico si interrompe qui. La libreria, ancora semivuota quando abbiamo iniziato la nostra intervista, a questo punto è già quasi gremita. Appena il tempo di prendere qualcosa da bere al bancone del bar interno e di affrettarsi per trovare un posto a sedere. Alla presenza di un pubblico ormai numeroso, Alessandro De Feo introduce la presentazione de "L'innaffiatore" riassumendo la vicenda di Giovanni Passannante, che molti dei presenti in parte già conoscono, ma che non smette - nella dovizia di dettagli che disegnano il vilipendio di cui è ancora vittima quel che resta di questo essere umano - di far rabbrividire di indignazione e di pietà. Poi è ancora Ulderico a parlare. Racconta parte di quello di cui ha parlato a me nel corso della nostra precedente conversazione. Aggiunge altri aneddoti, altri frammenti per ricostruire la storia di Giovanni e il percorso che l'ha portata in scena. Racconta della rappresentazione a Salvia, paese natale di Passannante, durante la festa patronale. Dell'invito del parroco e delle contestazioni ricevute durante lo spettacolo. Racconta di come quel paese oggi non si chiami più Salvia ma Savoia di Lucania, in omaggio alla famiglia reale, che volle e ottenne che persino il luogo di origine dell'attentatore venisse "cancellato" dalla Storia, come espiazione per la colpa di aver dato i natali a quello che venne definito un mostro. Non manca neppure l'occasione per sorridere più di una volta, come quando racconta del tentativo di rappresentare "L'innaffiatore" sotto le finestre del carcere di Potenza dove, la scorsa estate, era rinchiuso Vittorio Emanuele di Savoia. Un tentativo fallito all'ultimo momento a causa del trasferimento dell'imputato; così come non andò a buon fine neppure quello di consegnare a Vittorio Emanuele un cesto di salvia e prodotti tipici lucani, giusto per dar prova simbolica di quella compassionevole carità umana di cui i suoi antenati non seppero dare dimostrazione. Sono tuttavia brevi sorrisi amari, che si chiudono in una pioggia di applausi commossi e di solidali strette di mano. Ulderico ricorda ancora una volta l'appuntamento al Cometa Off. Ci ritroveremo lì, per tentare di dare una chiusura dignitosa e degna alla storia di Giovanni Passannante, e per dare ancora una volta voce, attraverso il teatro, ad una irrinunciabile battaglia di civiltà. La stessa che continua a scuotere le nostre coscienze, dai giorni di Antigone ad oggi.
Oggi alla alla Libreria Esquilibri all'Esquilino - quartiere storico in cui sussiste un esperimento costante di multietnicità e di pacifica convivenza tra popoli - presentiamo questo testo, che è la storia di Giovanni Passannante. E' un monologo di teatro, che ho già messo in scena e con cui ritorno qui a Roma, al teatro della Cometa Off, dal prossimo 13 Febbraio fino al 25. E' un testo scritto per essere rappresentato. Racconta la storia di quest'uomo, di quest'anarchico: Giovanni Passannante, che nel 1878 attentò con un gesto dimostrativo al re Umberto I di Savoia, in visita a Napoli, ferendolo lievemente con un coltellino da quattro dita. Un'arma completamente inadatta ad uccidere, che si limitò infatti a graffiare leggermente il sovrano. Giovanni Passannante scontò l'attentato per il resto della sua vita, fra tormenti indicibili, vittima di un accanimento disumano al limite della brutalità medievale. Che è perdurato anche successivamente alla sua scomparsa. L'ingiustizia vissuta da quest'uomo - in vita e poi in morte - è così tremenda che l'unico desiderio che c'è, sia sotto il libro che sotto lo spettacolo, è la sua sepoltura. Giovanni Passannante non è mai stato seppellito dignitosamente: il suo cranio e il suo cervello sono tuttora esposti nel museo criminologico di Roma, dove sono conservati dal 1936. Ma un uomo che chiedeva pubblicamente l'avvento della repubblica, che rivendicava il diritto all'assistenza, agli ospedali, alle scuole, alla dignità dei lavoratori, non deve certamente essere tenuto nel museo del crimine, perchè certamente non era un criminale. Cosa successe dopo l'attentato?
Passannante venne arrestato e torturato, per costringerlo a rivelare i nomi dei complici che in realtà - come aveva dichiarato subito dopo essere stato imprigionato - non aveva. La "giustizia" si accanì anche contro i suoi familiari, facendo rinchiudere l'anziana madre e i suoi fratelli nel manicomio criminale di Aversa, dove morirono a distanza di pochi anni. Giovanni subì un processo sommario e venne condannato a morte. Il re volle però concedergli la grazia, nonostante - dopo le torture subite - il condannato avesse chiesto di essere ucciso subito. Invece venne rinchiuso in una torre - che oggi si chiama Torre Passannante - a Portoferraio, all'Isola d'Elba, in una cella delle dimensioni di 1,5 x 2 m, 4 metri sotto il livello del mare: completamente buia, piena di umidità. Incatenato ad una palla di ferro di 18 kg, guardato a vista da uno spioncino, perennemente affamato. I marinai raccontavano che spesso sentivano le sue grida strazianti fino al largo. Sopravvisse in queste condizioni per oltre dieci anni. Cosa accadde a Passannante in conseguenza alla sua reclusione?
Prima gli si rovesciarono le palpebre e divenne cieco. Poi gli venne lo scorbuto, poi la tenia, e per la fame arrivò a mangiare le sue stesse feci. E non fu questa la cosa peggiore. Durante tutti gli anni di reclusione non gli fu mai permesso di incontrare nessuno, nemmeno il prete che aveva insistito per portargli conforto. Nonostante si professasse anarchico, Giovanni era infatti cattolico e battezzato. Poi, però, l'opinione pubblica iniziò ad interessarsi alla sua storia...
A distanza di alcuni anni una giornalista, Anna Maria Mozzoni, si interessò alla vicenda e realizzò grandi pezzi sui giornali. In seguito un deputato radicale, Bertani, presentò un'interrogazione parlamentare per sottoporre Giovanni Passannante ad una perizia medica. Lo trovarono pazzo. Fu trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, dove morì nel 1910. Cosa avvenne di lui dopo il decesso?
Appena morto gli tagliarono la testa, gli segarono il cranio e prelevarono il cervello. Entrambi vennero conservati e si trovano attualmente esposti, da oltre 70 anni, nel museo criminologico di Roma. Perchè questo scempio?
Per via delle teorie di Cesare Lombroso - che all'epoca godevano di grande attenzione e credibilità -, il quale riteneva che chi aveva la fossetta mediana occipitale interna fosse biologicamente "delinquente". Lui l'aveva. Oggi sappiamo che nel Sud dell'Italia ce l'abbiamo più o meno tutti... Pure io ce l'ho! (sorride)
Diciamo che dall'Africa fino a Roma l'abbiamo praticamente tutti: è una caratteristica congenita alla nostra etnia. Non è mai stata presa nessuna iniziativa per rendere una sepoltura dignitosa ai resti umani di Passannante?
In effetti, quando fu ministro Diliberto firmò una delibera, in cui autorizzava la rimozione del cranio e del cervello e la sostituzione con un calco in gesso e resina. Però poi cambiò il governo e la questione si arenò. Come sei venuto a conoscenza della storia di Giovanni Passannante?
La storia io l'ho scoperta in maniera molto... rocambolesca (sorride). Avevo una fidanzata che abitava nelle vicinanze del Museo di Criminologia. Era sempre in ritardo. Nell'attesa che arrivasse, io non sapevo mai che fare, così passavo il tempo vagando senza meta nei dintorni di via Giulia. Prima giravo per antiquari, poi per rigattieri, poi per bar... Finchè un giorno non mi ritrovai, quasi per caso, a visitare il museo criminologico. E lessi, nella stanza dov'è lui, "Cranio e cervello di Giovanni Passannante, anarchico, lucano, che attentò alla vita del re Umberto I di Savoia. Nato a Salvia (PZ)". La mia terra, oh Gesù mio! Non ne sapevi niente?
No, non ne sapevo nulla. Andai all'Archivio di Stato e iniziai a svolgere delle ricerche. Cercai anche tramite Internet, ma all'epoca - eravamo intorno al 1999 - c'era poco o niente. Poi andai all'Archivio storico di Napoli, e poi all'Archivio storico di Potenza. Cominciai a trovare materiali e testimonianze: stralci di interrogatorio, gli articoli della Mozzoni, l'interrogazione parlamentare di Bertani. Iniziai ad interessarmi seriamente della vicenda e a ricostruirla metodicamente. Nel monologo, la voce narrante è quella di un carabiniere. Come mai questa scelta?
Gli anni in cui ho iniziato a lavorare a questo testo erano quelli immediatamente successivi all'uccisione di Carlo Giuliani al G8 di Genova. La mia storia, in un certo senso, si è sviluppata parallelamente. Nello spettacolo, a parlare, a raccontare tutto, è un carabiniere. L'idea è nata perchè il museo criminologico è gestito dall'Amministrazione Penitenziaria, e i suoi corridoi sono costantemente presidiati da poliziotti e carabinieri. Nel corso delle mie ricerche, avevo scoperto che il cervello di Giovanni è conservato sotto formalina. Periodicamente, il livello del liquido si abbassa. Quindi - più o meno ogni 6 mesi - il contenitore va aperto e rimboccato. E' un lavoro che svolge un anatomo-patologo. Però, poichè il museo è pieno di poliziotti e carabinieri, io ho voluto immaginare che fosse proprio un carabiniere a raccontare la storia di Passannante. E' dal dettaglio dell'"innaffiatore" che hai preso spunto per il titolo del tuo monologo?
Proprio da questo: dal ruolo del personaggio che, periodicamente, si dedica a riempire di formalina la teca in cui è esposto il cervello di quest'uomo. Poi, pensa solo quanti soldi spende lo stato italiano a "innaffiare" questi poveri resti... E la cosa obbrobriosa è che non si capisce cosa voglia mostrare questo accanimento, soprattutto a distanza di così tanto tempo. In concreto, quali passi hai mosso finora a sostegno della causa di Passannante?
Da due anni sto raccogliendo (sul sito www.uldericopesce.com) le firme a sostegno della petizione per la sepoltura dei resti di Passannante nel suo paese di origine e per la sostituzione dei resti originali con calchi in gesso e resina. Mi pare che siamo ormai a 2400-2500 firme. Per il 19 Febbraio - ricorrenza della data di nascita di Giovanni - abbiamo organizzato una piccola, ulteriore iniziativa. Andremo al museo criminologico a portare una corona di fiori, e successivamente ci recheremo al Ministero di Grazia e Giustizia per consegnare tutte le firme raccolte. Speriamo di arrivare almeno a 3000. Personalmente, devo molto alla grande stampa nazionale, che mi ha datto una grande mano. In particolare all'Espresso e al suo caporedattore, Alessandro De Feo (che oggi conduce insieme a Ulderico la presentazione del testo, N.d.R.), che continua a offrirmi un grande aiuto. Perchè capisce che questa questione, questa battaglia di civiltà, deve andare avanti. Tenere i resti di una persona esposti in una bacheca - in uno spazio aperto al pubblico, dove la gente paga 2 Euro per vederli - è qualcosa di agghiacciante e inaccettabile. Quali sono i tuoi progetti per i prossimi mesi?
Dal 6 al 12 Febbraio sarò a Milano, al Teatro della Cooperativa, con "FIATo sul collo" . Poi, come ti dicevo, dal 13 al 25 Febbraio porterò in scena "L'innaffiatore" al Cometa Off di Roma. Dai primi di marzo, porterò "Storie di Scorie, il pericolo nucleare italiano" al Teatro dei Filodrammatici di Milano. Hanno aperto recentemente una nuova fabbrica vicino al teatro, lo spettacolo lo faremo là dentro. Poi ci saranno due debutti in estate: anche questi due spettacoli molto forti. "Asso di Monnezza", che descrive i traffici illeciti di rifìuti in Italia - in particolare dei rifiuti industriali - e "Il triangolo degli schiavi", che racconta le condizioni di vita dei clandestini raccoglitori di pomodoro. La mia conversazione con Ulderico si interrompe qui. La libreria, ancora semivuota quando abbiamo iniziato la nostra intervista, a questo punto è già quasi gremita. Appena il tempo di prendere qualcosa da bere al bancone del bar interno e di affrettarsi per trovare un posto a sedere. Alla presenza di un pubblico ormai numeroso, Alessandro De Feo introduce la presentazione de "L'innaffiatore" riassumendo la vicenda di Giovanni Passannante, che molti dei presenti in parte già conoscono, ma che non smette - nella dovizia di dettagli che disegnano il vilipendio di cui è ancora vittima quel che resta di questo essere umano - di far rabbrividire di indignazione e di pietà. Poi è ancora Ulderico a parlare. Racconta parte di quello di cui ha parlato a me nel corso della nostra precedente conversazione. Aggiunge altri aneddoti, altri frammenti per ricostruire la storia di Giovanni e il percorso che l'ha portata in scena. Racconta della rappresentazione a Salvia, paese natale di Passannante, durante la festa patronale. Dell'invito del parroco e delle contestazioni ricevute durante lo spettacolo. Racconta di come quel paese oggi non si chiami più Salvia ma Savoia di Lucania, in omaggio alla famiglia reale, che volle e ottenne che persino il luogo di origine dell'attentatore venisse "cancellato" dalla Storia, come espiazione per la colpa di aver dato i natali a quello che venne definito un mostro. Non manca neppure l'occasione per sorridere più di una volta, come quando racconta del tentativo di rappresentare "L'innaffiatore" sotto le finestre del carcere di Potenza dove, la scorsa estate, era rinchiuso Vittorio Emanuele di Savoia. Un tentativo fallito all'ultimo momento a causa del trasferimento dell'imputato; così come non andò a buon fine neppure quello di consegnare a Vittorio Emanuele un cesto di salvia e prodotti tipici lucani, giusto per dar prova simbolica di quella compassionevole carità umana di cui i suoi antenati non seppero dare dimostrazione. Sono tuttavia brevi sorrisi amari, che si chiudono in una pioggia di applausi commossi e di solidali strette di mano. Ulderico ricorda ancora una volta l'appuntamento al Cometa Off. Ci ritroveremo lì, per tentare di dare una chiusura dignitosa e degna alla storia di Giovanni Passannante, e per dare ancora una volta voce, attraverso il teatro, ad una irrinunciabile battaglia di civiltà. La stessa che continua a scuotere le nostre coscienze, dai giorni di Antigone ad oggi.